L'orto è quello spazio di terreno chiuso, in campagna od in città, ove nascono e crescono le piante fruttifere, ma più propriamente le verdure e le civaje. Il suo nome, pervenutoci dal greco orthos, o dal latino orior, è dal nascervi dentro i semi e dalla sue posizione preferita ad oriente. Si vuole, che il primo che costrusse l'orto, fosse Epicuro in Atene, dove, come nota Laerzio, teneva scola ed insegnava con molta licenza, rimproveratagli da Cicerone nel trattato De natura Deorum. Ma è a notarsi, che fin dalla più remota età, era il costume de' grandi orti nelle città celebratissimi. Tali gli Esperidi, gli Alcinoi, quelli di Jerone, Adone, Attalo, quelli pensili, di meravigliosa arditezza a Babilonia, attribuiti a Semiramide, ed a Siro, re degli assiri. Simili orti erano chiamati dai greci paradisi, dal vocabolo caldeo pardes, e pomaria e viridaria dai latini. La Bibbia ci parla del paradiso terrestre, ove il Creatore pose i nostri primi parenti, il quale, e per bellezza dei frutti e per lusso di vegetazione era appunto un orto. Vi vengono ricordati gli orti di Salomone, del re Accab, Ocozia, Manasse, che vi volle essere se sepolto (Reg., c. 21, v. 18), di Assuero, che nell'orto dava i suoi famosi conviti. Nel Nuovo Testamento è pure menzionato l'orto degli Ulivi, e il Redentore che comparì la prima volta, resuscitato, a Maddalena, in figura d'ortolano. E, passando alla storia profana, Epicuro filosofava nell'orto, Teofrasto legò il suo orto, perchè servisse di scola, Apollonio Teaneo, a gratificare il suo precettore Erixemo, donogli un bellissimo orto. La prima letteraria adunanza, fu nell'orto d'Accademo, dal quale Accademia fu detta, e il nome pervenne fino a noi. Nè vo' tacere dell'ortolano Abdolamino, che appunto per tale sua qualità, fu fatto re dei Sidoni. Pressoi Romani, una brava ortolana, si teneva in concetto di bona ed economa madre di famiglia.
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L'orto è quello spazio di terreno chiuso, in campagna od in città, ove nascono e crescono le piante fruttifere, ma più propriamente le verdure e le
In questi spaziosi ed ameni soggiorni, si alternava il passeggio al riposo, quando all'ombra e quando al sole, ed, aumentato il lusso e le comodità della vita, divennero parti essenziali delle cittadinesche abitazioni, a segno che, una casa, per quanto ornatissima, mancante di orticello, non casa «ma tenebroso ergastolo» si chiamava. I romani chiamavano ogni villa col nome di orto, onde Plinio, nel trattato delle 12 tavole delle leggi, sempre nomina la villa colla parola hortus. È da notarsi che con hortus, al singolare, i latini volevano indicare propriamente quella porzione di terra cintata, ove venivano coltivati gli ortaggi; mentre col plurale di horti si volevano chiamare quei luoghi di passeggioe di convegno, che erano rallegrati dall'ombra delle piante. Così gli orti Pompejani, Luculluiani, Sallustrii, dei Cesari, di Mecenate, ch'erano come i nostri giardini pubblici. ì piccoli orti del basso popolo chiamavansi macelli, perciò Varrone chiamava macellato gli orti degli Jonj a spregiarne la loropiccolezza — egualmente che il foro olitorio, perchè forniva di erbaggi la plebe, dicevasi pure macello. Col vocabolo foro olitorio (il nostro verzee) dalla voce generica olus, colla quale i romani comprendevano qualunque erba sativa che vi si vendesse — ed olitarii erano chiamati gl'istrumenti che servivano alla coltura degli orti, a sradicare le piante, come la marra, la pala, il bidente, ecc. Così d'altre distinzioni notissime, come gli horti herbarii medicinales, destinati alla coltura di varie piante che servivano alla cura di malattie — gli horti alvearii o mellarii, dedicati unicamente alla coltura delle api — gli horti sacri, con voce greca chiamati hierocipis, ove con molta cura si educavano le piante favorite dalle divinità, e di cui facevasi uso nelle sacre pompe, nelle libazioni, nei sacrifizi, nei trionfi, nei mortorii dei magnati e dei cittadini più distinti — cose tutte di cui in seguito se ne confuse la denominazione, e furono riassunte nella voce orto. Ond'è che Orto significa quel terreno, reso utile da una raffinata coltura delle erbe e delle piante, di cui si fa uso più comune — per cibo e condimento — mentre il Giardino, più che all'utilità, bada alla bellezza e rarità delle piante, alla vaghezza dei fiori, che ogni stagione produce.
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dall'ombra delle piante. Così gli orti Pompejani, Luculluiani, Sallustrii, dei Cesari, di Mecenate, ch'erano come i nostri giardini pubblici. ì piccoli
Colla parola verdura, in generale, si designa tutto ciò che di verde dà l'orto e che serve a nutrimento. Propriamente però, la verdura è tutto ciò che è erbaceo, mentre col nome di legume designansi, dai botanici, quelle piante il cui seme è chiuso in gusci o baccelli. È verdura, dunque, il prezzemolo, la lattuga, la cicoria, l'asparago, i cardi, l'articiocco, il cavolo, ecc. È legume il fagiolo, la fava, il pisello, la lente, il cece, ecc.
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che è erbaceo, mentre col nome di legume designansi, dai botanici, quelle piante il cui seme è chiuso in gusci o baccelli. È verdura, dunque, il
In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si devono prima scottare, immergendole nell'acqua bollente per qualche minuto, poi conviene gettarle nell'acqua fresca, asciugarle e farle disseccare o al sole, o al forno; preferite il forno. Gli erbaggi si tagliano a pezzi, si mondano, e si dispongono su graticci, così preparati si mettono ad essiccare, e si conservano in luogo fresco e ventilato. I legumi che si essicano per l'inverno, spesso vengono avariati dagli insetti. A riparare tal malanno lavate i vostri legumi nell'acqua fredda appena colti, e fateli seccare perfettamente al sole. Tutti gli insetti già sviluppati nei legumi ne sfuggiranno e quelli che non lo sono ancora non si svilupperanno altrimenti. A cocere più presto le rape e le carote, devono essere tagliate per il lungo, e a far perdere l'odore troppo forte delle cipolle, pei delicati, sarà bene metterle per un momento nell'acqua calda salata, avanti cucinarle. Finisco con due parole sulla digeribilità. Quante calunnie si son dette, si dicono e si tramandano sul valore digestivo di questi eccellenti prodotti della vegetazione! Il tale, la tale non può digerire i fagioli, il citriolo, l'aglio, la cipolla, le castagne, ecc.; dunque sono indigesti, e si dà la colpa a questi poveri innocenti che nascono per la salute e conservazione nostra! Nè solo si accontentano, quel tale e quella tale di calunniarli, ma li proscrivono dalla loro casa e ne predicano l'ostracismo ai figli, ai parenti, agli amici e guardano biechi chi fa loro orecchie da mercanti. No, la colpa è dello stomaco di questi tali signori e di queste tali signore. Ma lasciateli, se vi fanno male, non diteli indigesti. Lo sono per voi, per altri sono invece tanta bona nutrizione e beata salute. Come abbiamo tutti una faccia nostra, così tutti abbiamo il nostro stomaco, che è un vero laboratorio chimico, una vera officina di acidi e di sughi chilifici. E chi ne à bisogno uno e chi un altro — a chi ne sopravanza di quantità, a chi ne manca di qualità; e l'istinto, il gusto, l'appetito, ci suggeriscono appunto ciò che ci è necessario ad equilibrare ed ordinare le funzioni del nostro individuo. Perchè voi siete brutto non vuol dire che tutti sieno brutti. Ah! quel benedetto io, che è padre dell'assoluto e dell'intolleranza!
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In generale tutti gli erbaggi dell'orto che voglionsi conservare, devono essere raccolti di recente e ben maturi. Le piante e le radici succose si
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in marzo dà frutti in giugno e luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia. L'albicocco è selvatico in China e sono usitatissimi i suoi chicchi per ricavarne olio. Se ne contano molte varietà: le primaticcie sono l'albicocca pesca e la nostrale con nocciolo amaro. Le migliori per grossezza e sapore sono quelle di Nancy. La qualità più grossa di Germania, è anche più insipida. L'albicocca, o meliaca matura, è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare, di videndola in due e levandone il chicco. Cocendola se ne fa marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si conserva nell'aquavite, si candisce. Della mandorla dolce se ne fa ingrediente di pasticceria e condimento a leccornerie da dessert.
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spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in marzo dà frutti in giugno e luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia
L'Ananasso, o anche Ananas coronato, è frutto della Bromelia, così detta dal botanico svedese Bromel, al quale fu dedicata. È frutto dei paesi caldi, e più propriamente dell'America tropicale, e lo si coltiva da noi nelle serre. Non fiorisce che il terzo anno dopo la piantagione e per maturare abbisogna da 4 a 6 mesi. Matura generalmente in agosto. Nel linguaggio delle piante Perfezione. Àvvene molte varietà, che vengono indicate dal colore del frutto, dalla sua forma, ecc. Dalle foglie degli ananassi si ottengono fibre delicatissime per tessuti, dei quali se ne fa uso della zona torrida.
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abbisogna da 4 a 6 mesi. Matura generalmente in agosto. Nel linguaggio delle piante Perfezione. Àvvene molte varietà, che vengono indicate dal colore del
È pianta erbacea annuale, sta tra il popone e la zucca e si coltiva come questa. Teme l'asciutta, ma la troppa acqua la rende ancora più insipida. La maturanza incomincia in luglio e continua a tutto agosto. Si propaga per seme che à virtù fino a 6 anni. Dal seme fresco nascono piante più grandi, ma da quello di due o tre anni, si ànno piante più fruttifere. Nel linguaggio dei fiori: Sei insipido. À frutto e carne zuccherata ed alquanto acidula, rinfrescante, frigida, estingue la sete. Ve ne sono varie qualità: la nostrana a semi neri, la napolitana a semi bianchi, dà frutto più piccino della nostrana, è di buccia più sottile e trasparente, à sapore più squisito, quanto più rossa ne è la polpa. V' è pure la specie moscatella, l'ovale, la gialla, ecc. L'anguria, o più propriamente cocumero (da Cucumis derivante pure dal celtico cucce, vaso, desunto dalla sua forma) non confà a tutti gli stomachi, è indigesta e dicono che regali quei casi di colera, che viene denominato sporadico. Alcuni medici vogliono che sia lassativo, rinfrescante, ma è certo che è frutto insipido, che mangiandone bisogna unirvi del rhum o qualche liquore, e che bisogna mangiarne poco. Negli Stati Uniti l'anguria è coltivata su vasta scala. A conoscere l'anguria quando sia matura, c' è il proverbio:
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maturanza incomincia in luglio e continua a tutto agosto. Si propaga per seme che à virtù fino a 6 anni. Dal seme fresco nascono piante più grandi
Il dottore Angelo Comi di Roma (Sitiologia, ossia Medicina naturale studiata nelle virtù delle piante alimentari. Tesi originale del dottor Angelo Comi, Roma, Perino, 1886), dice che il sugo dell'arancio sanguigno, citrus aurantium melitense, preso in tempo, riordina il disordine mentale della clopemania, ossia la pazzia di prendere gli oggetti degli altri, senza averne bisogno. La quale pazzia l'attribuisce alle levatrici che guastano e ledono il setto pellucido degli emisferi cerebrali, ed aggiunge che non essendo contemplato nei trattati di psichiatria, nè di medicina legale, taluni poveri sofferenti devono passar la vita in case di pena, processati e condannati come ladri. E pensare che si potrebbe rimediare col sugo dell'arancio sanguigno! Il medesimo illustrissimo signor Comi insegna che il Citrus bigarradia vulgaris (melangolo forte) dà una polpa sugosa che strofinata sulla testa più volte al giorno distrugge il pediculus — leggi pidocchio — e che questo frutto candito giova alla nostralgia — è un vero surrogato alla patria.
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Il dottore Angelo Comi di Roma (Sitiologia, ossia Medicina naturale studiata nelle virtù delle piante alimentari. Tesi originale del dottor Angelo
Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati -pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma, nel 1500, si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso, C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re Giuba — che lasciò dei commentarii sulle cose di Libia — dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo XIII da viaggiatori veneziani e genovesi, farò notare che Virgilio dice:
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Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno venire dalla Persia; il
Pianta di circa quindici piedi d'altezza, sempre verde, dell'America tropicale, somiglia al limone. Dà fiori piccoli, giallognoli. Si coltiva come il caffè. Nel linguaggio delle piante: Salute. I frutti bislunghi di questa pianta, simili a piccoli citrioli, racchiudono in una poltiglia agro dolce molti semi bianchi (fino a 40), a foggia di mandorle. Questi semi o grani, divenuti di color bruno, grazie ad una specie di fermentazione, sono quelli che in commercio, vengono sotto il nome di grani, semi o fave di cacao, e che torrefatti od abbrustoliti convenientemente si mangiano e servono a preparare confetture, e misti collo zuccaro e droghe, massime vaniglia e canella, servono pure alla fabbricazione della Cioccolatta. I grani del cacao si raccolgono a perfetta maturanza in giugno e dicembre, e in tale stato la polpa che avviluppa i semi è morbida, addotta, piacevole, molto rinfrescante e salubre, che gli indigeni trasformano in liquore vinoso, bevanda graditissima. Anche nel nord della Francia, nel Belgio e in Olanda colle corteccie del cacao si prepara una bibita salubre e piacente. Gli involucri e i germi si utilizzano dagli indigeni per nutrizione dei montoni e come ingrasso. Inoltre dalle sementi si cava un olio che ha la consistenza del burro e si chiama burro di cacao, che è un eccellente cosmetico. Si amministra internamente negli organi della digestione, respirazione e dell'apparato orinario, esternamente nell'intestino retto, perstitichezza, emorroidi, screpolature delle labbra, mammelle, ecc., e viene spesso falsificato con sego, midollo e cera. Del Theobroma se ne conoscono da 15 a 18 specie, delle quali le principali sono: la Bicolor, la Guajanense, la Cacao e la Speciosum. Dalla Cacao e Guajanense se ne cava il cacao del commercio. Le regioni che danno il cacao migliore sono Soconusco nel Messico, i cui grani di scarto servono per moneta, ed Esmeralda nella Repubblica dell'Equatore, ma diffìcilmente quel cacao arriva fino a noi. Dopo viene il Caracca, delle Antille, S. Domingo, Giammaica. Nel 1518 all'epoca della conquista del Messico, il cacao era la principale alimentazione del popolo Messicano. Il suo nome di Theobroma, dal greco — da Theos, Dio, e da broo per brosco, mangiare — Cibo divino. Fu Linneo che lo chiamò cosi — alcuni dicono perla sua passione alla cioccolatta, altri per deferenza al suo confessore, altri ancora per galanteria, essendo stata una regina, Anna d'Austria, che per la prima la introdusse in Francia.
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caffè. Nel linguaggio delle piante: Salute. I frutti bislunghi di questa pianta, simili a piccoli citrioli, racchiudono in una poltiglia agro dolce
La Coffea Arabica è un grazioso arboscello, ramosissimo, sempre verde, originario dall'Arabia e particolarmente dall'Abissinia Galla e Kaffa, dove anche oggi si trova allo stato selvaggio. Dà fiori candidi, olezzanti in luglio ed agosto, simili a quelli del gelsomino di Spagna. Ai fiori succedono bacche rosse come le ciliege, che maturano 4 mesi dopo la fioritura e che racchiudono due grani o semi che sono quelli che tosti[mo, e che ci danno la deliziosa bevanda del caffè. Questi semi quando sono verdi e maturi sono circondati da una polpa dolcigna bona a mangiarsi. Si propaga per seme. Da noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla differenza specifica, ma dalla provenienza commerciale e geografica. Generalmente tutte queste varietà si riferiscono a tre tipi: Molta, Borbone e Martinica, che da noi è sostituito col Porto Rico. Il migliore caffè è quello che proviene dalla sua patria primitiva, ma rarissimamente giunge in Europa. Il Moka, o Levante (dal nome del suo antico porto di esportazione) è un prodotto del Yemen montuoso, il suo colore ricorda quello del the e questo pure rarissimamente ci perviene. È consumato quasi interamente in Turchia, in Asia, in Persia ed in Egitto. Quello che perviene a noi sotto il nome di Moka, è Moka di Zanzibar, di Aden e di Giava, a piccoli grani, accuratamente scelto.
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noi è pianta di serra calda. Nel linguaggio dei fiori e piante: Allegria. Numerose le varietà del caffè, che prendono il loro nome non solo dalla
Il Carciofo, della famiglia dei cardoni, è un caule di 5 o 6 piedi, biennale, indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt'acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in marzo ed aprile ed anche in maggio, in luna vecchia. Nel linguaggio delle piante: Sei noioso. Il seme conserva la sua virtù produttiva fino a sei anni e più. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova, migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi con pepe ed olio, per antipasto, cotti all'olio, al burro, si lessano, si friggono impannati alla padella, alla grata, si accoppiano ad ogni piatto, ai quali servono anche di elegante e saporito ornamento. Sono nutrienti e contengono molto tannino. Se il carciofo è giunto alla sua perfetta maturanza e grossezza normale, lasciatelo riposare due giorni prima di mangiarlo, sarebbe troppo irritante. Va lavato in grand'acqua, e messo a cocere in acqua bollente e salata, coperto solo per tre quarti, non lasciarlo stracocere. Il carciofo cotto all'acqua, freddo che sia, è eccellente coll'olio. Dei ricettacoli del carciofo cavasi amido.
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aprile ed anche in maggio, in luna vecchia. Nel linguaggio delle piante: Sei noioso. Il seme conserva la sua virtù produttiva fino a sei anni e più. È
Il Castagno, è un albero a foglia caduca, indigeno, dall'Europa meridionale. Ama terreno sabbioso, argilloso non adombrato da altri alberi, e più d'ogni altro; il montuoso. Non viene a più di 800 metri al disopra del livello del mare. Fiorisce in luglio, dà frutti in ottobre e per loro teme il freddo. Si propaga per semina, avendo cura di immergere prima il seme per 12 ore nell'acqua satura di fuliggine e noce vomica, o in olio bollito con aglio, acciò rimangano illese dagli animaletti. Nel linguaggio dei fiori: Sii giusto verso di me. Il castagno, dicesi, portato a noi dall'Asia Minore al tempo degli imperatori romani, o dalla Sardegna, al dire di Bruyerius, e come leggesi in Ezio e Dioscoride. Le varietà principali, il castagno propriamente detto, che fiorisce precocemente, il cui raccolto è quindi dubbio e dà un frutto piuttosto piccolo e poco saporito ed il marrone che è più grosso, più saporito e nutriente, dal nome di maraon come si chiamava ai tempi di Eustazio. Il marrone si propaga per innesto sopra il castagno, perchè il marrone seminato produce nuovamente il castagno. Il castagno comincia a fruttificare cinque anni dopo l'innesto, e verso il 60° dà il massimo prodotto. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fa quando alcuni pericarpi cominciano ad aprirsi, un ettolitro di castagne pesa 80 chilogrammi. La castagna fresca contiene 48% d'acqua e 0,52 d'azoto — il marrone fresco 54 d'acqua e 0,53 d'azoto. — La castagna secca, contiene ancora dal 10 al 12 d'acqua e 0,77 d'azoto, ed il marrone secco contiene 1,17 % d'azoto. Si conserva la castagna nel proprio involucro in locali asciutti e ventilati o disseccandola pei graticci. Le castagne messe sui mattoni delle camere, marciscono presto e sono preda degli insetti. Si conservano più a lungo e saporite, facendole prima essicare alcun poco al sole. Il castagno dell'Etna avrebbe, secondo alcuni, 59 metri di circonferenza. La castagna, il qual nome si vuole venuto da Castano Magnesia, città della Macedonia, è la sposa del focolare, la ghiottoneria dei fanciulli, la dea delle chiacchere e delle mormorazioni, l'amica del vino generoso e nuovo, ed è maritata in nozze morganatiche al dio Eolo. Un proverbio dice: Non è da uom prudente mangiar castagne e poi star fra la gente. Ed un altro:
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. Le piante non innestate, ritardano e sono meno produttive. A 150 anni comincia a deperire e raggiunge i 3-4 secoli. Il raccolto si fa quando alcuni
il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli nella state, le tardive in aprile e maggio, si trapiantano in agosto, si raccolgono in autunno e nel verno; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da striscie di fusti di canapa. i semi del cavolo mantengono la loro virtù germinatrice per 6 e più anni. La varietà del Gambùs (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata, è meno saporita. Anche del Gambùs molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo — merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato, intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione. In Lombardia il paesello di Verzago, ripete il suo nome dalle verze che vi abbondavano saporite e rigogliose. Molto stimati in Francia i choux de Milan (B. ol. Bullata). Il cavolo si mangia in cento maniere — nelle minestre — nelle zuppe — in insalata — si mette negli intingoli — serve ad accompagnare i salsicciotti — a far polpette — si condisce come gli spinacci all'olio, al burro aggiungetevi delle bacche di ginepro — se ne fa la così detta versata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è tenuto come indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne di porco. Iacopo Albertazzi vuole che i cavoli si conservino meglio e più saporiti a seppellirli nella terra coll'occhio e le foglie rivolte all'ingiù e le radici all'insù (lib. III, 54). Da solo il cavolo vale niente, onde il proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che vale nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati SauerKraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi e del quale Marziale:
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freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli
Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto grossolano. È comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Nel linguaggio delle piante: Sei villano. — Ve ne sono due varietà: la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna, dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança, e dove viene d' una grossezza e bellezza rimarchevole. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'acqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato, colla farina di cece mescolata ad olio, sale ed acqua, se ne fa tortellacci, ed un'altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato. Il cece è menzionato dalla Bibbia al libro dei Re — e racconta che quando Davide giunse agli accampamenti di Galaad, venne offerto a lui e al suo seguito, tra le altre cose, frixum cicer. — Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce, fra i vari legumi che si usano per adulterare il caffè. Il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano cafè français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente broeud de scisger.
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linguaggio delle piante: Sei villano. — Ve ne sono due varietà: la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna, dove entra come
Pianta sempre verde, della famiglia degli aranci e dei limoni, coi quali divide l'origine e la maniera di coltura. Coltivasi molto in Italia, nella Provenza e nel Portogallo. Resiste al freddo più dell'arancio e del limone. Nel linguaggio delle piante significa: Costanza, frutto del cedro, altrimenti detto cedrato, è più grosso del limone, è oblungo, rugoso, di color gialloverdognolo, à scorza spessa, aromatica e tenera, polpa alcun poco acidula. Ve ne ànno cinque varietà. La parte usata è la scorza, che si candisce e si confetta in grossi spicchi, che tagliati in piccoli pezzi, servono in cucina per condire frutte giuleppate, per mettere nello charlotte, e al confetturiere per regalarne il panettone ed altre paste dolci. Lo si unisce pure ai pezzi duri dei gelati e nella mostarda. Crudo non è buono. Dal frutto intero si distilla l'acqua di tutto cedro che si fabbrica a Salò, celebrata come cardiaca, aromatica, antispasmodica, e indicata maggiormente nelle affezioni nervose, che le signore del secolo passato poetizzavano col nome di vapori. Dalla scorza si cava anche un olio essenziale prezioso e grato come l'essenza di Neroli. I semi, al pari di quelli del limone e dell'arancio, servono a fare emulsioni amare. Del resto, fu sentenziato: Medica mala quidam, nec mala, nec medica. Il nome suo vuolsi derivi dal torrente Cedron della Palestina. Secondo Teofrasto Eresio, sarebbe originario dalla Persia; Dioscoride chiamandolo cedro-mela, lo farebbe venire dalla Media e dalla Siria, e lo suggerisce alle puerpere. Vetruvio tramanda che dal cedro se ne cavava un olio che serviva a preservare dalla carie e dalle figliuole i libri e le altre cose che con quello si ungevano, onde quel verso di Ovidio: Nec titulus minio, nec cedro cartha notetur (Trist, 1). Del resto, la storia del cedro si confonde con quella dell'arancio e del limone. I famosi cedri del Libano nulla ànno a che fare con questo cedro, essendo essi della famiglia del pino (pinus cedrus).
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Provenza e nel Portogallo. Resiste al freddo più dell'arancio e del limone. Nel linguaggio delle piante significa: Costanza, frutto del cedro
Albero indigeno dell'Europa meridionale, a foglia caduca, originario dall'Egitto. Dà fiori rosei in aprile, frutti in maggio e giugno. Si moltiplica per semi, margotte, divisioni, innesto. Nel linguaggio dei fiori e piante: Promessa. Due le sue varietà principali: La ciliegia, propriamente detta, col picciolo piuttosto lungo, polpa consistente e dolce — della quale la varietà a pasta soda, più grossa delle ordinarie, la duracina, che a Firenze è chiamata la Ciliegia Pistoiese, da noi, Galfion, nome pervenutoci dalla Svizzera francese, dove si chiama pure Galfions. I francesi la chiamano Bigarreaux. E la marasca, o amerana sì rossa che nera (cerasus acida) con picciolo più corto, polpa meno consistente, sapore aciduletto, la cui varietà più bella e più preziosa à nome volgare di Marennoni. In Piemonte si chiama Griotte, dal francese agriote, quasi acerba. Noto pure il Cerasus avium, viscida, ciliegiola, marenella de' nostri monti, delle quali il proverbio: «Mille visciole non son bastanti ad una casa, ed una cerasa è di vantaggio ad una città,» e l'altro:
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per semi, margotte, divisioni, innesto. Nel linguaggio dei fiori e piante: Promessa. Due le sue varietà principali: La ciliegia, propriamente detta
Il Dattero, o Dattilo, è il frutto della palma oriente, albero sempre verde della Barberia, Egitto, Giudea, Siria, America meridionale e di molte parti dell'Africa. È diritto, arriva fino ai 40 metri d'altezza, e talvolta all'età di 200 anni e può portare più di 100 chilogrammi di frutto. Il suo legno è amaro e il frutto dolce. Da noi è pianta da serra calda. Si propaga per semi, che con molto calore nascono dopo 6 settimane. Non dà frutti che dopo moltissimi anni. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante significa: Riconciliazione. Le sue bacche, i frutti nocciolosi oblunghi, che danno le sue sommità, sono quelli che noi chiamiamo datteri. Si mangiano freschi e secchi — i freschi sono meno sani. A noi pervengono essicati e a bon mercato. È frutto saporito e di facile digestione, da dessert quaresimale. I migliori sono quelli d'Alessandria d'Egitto. Si condisce dai confetturieri — serve a fare uno sciroppo zuccherino e a prepararne, colla fermentazione, un liquore inebbriante, una specie di nettare o vino che una volta in Oriente era riservato ai soli sovrani. In Oriente il dattero è condimento di pane, e cibo ai quadrupedi. Coi semi torrefatti del dattero, si prepara un caffè in Francia, che per la sua innocenza può collocarsi al limbo. In medicina è adoperato come pettorale, raddolcente. Bonastre ottenne dai datteri, succilaggine, gomma, zuccaro e albumina. Il midollo della palma si mangia come un ghiotto boccone. Il calice dei fiori è adoperato come vaso da bere. I rami della palma, lavorati, si distribuiscono coll'ulivo, nella domenica chiamata delle Palme, in ricordanza dell'entrata trionfale del Salvatore in Gerusalemme. Le sue foglie servono a fabbricare corde, gomene, stuoje, cesti, ecc. In Spagna e Sicilia avvi la palma, ma in proporzioni molto modeste e i suoi frutti non riescono mai o quasi mai a maturanza. È questa la Palma che si dava ai vincitori delle battaglie — è di questa che ancor oggi corre il detto: Avere la palma, conquistare la palma. Del dattero ne parla Paolo Egineta e Senofonte nel 2.° libro della Spedizione di Ciro, che li cita come un cibo divino, riservato ai soli ricchi. Molti soldati di Alessandro il Grande ci avevano lasciata la pelle per averne fatto delle pelli. Fino d' allora si candivano perchè i freschi eran fin d' allora ritenuti indigesti e nocevoli ai denti — tanto che appena mangiato, si sciaquava la bocca. Dei datteri si dice:
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dopo moltissimi anni. Il suo nome dal greco Dactulos, dito, perchè questo frutto rassomiglia l'ultima falange delle dita. Nel linguaggio delle piante
Fig. — Spagn.: Heigo. Il Fico è albero a foglie caduche, che cresce spontaneo nel mezzodì d' Europa. Viene in tutti i terreni, desidera posizioni calde, soleggiate, asciutte, difese dai venti, teme sopratutto i balzi di temperatura. Si propaga per margotte, polloni, tallee. Non ama essere tagliato, perchè avendo tessuto a fibre rade, facilmente ne soffre per l'acqua che vi può penetrare, e quando è necessario bisogna ricoprire il taglio con mastice, catrame, ecc. Comincia a dar frutto il terzo anno. Se ne conoscono 62 varietà, tra le quali, alcune non mangiabili e velenose. Il nome di Fico, dal greco phyo, produrre, a cagione della sua fecondità, e nel linguaggio delle piante significa pure: Fecondità. I fichi primaticci sono chiamati fioroni, e sono i frutti il cui germe era già sul ramo nell'autunno precedente. Maturano in luglio, e sono meno saporiti dei tardivi ed autunnali. Tranne un gran gelo, il fico dà un prodotto quasi sicuro. In Italia e negli altri paesi meridionali, dà un frutto che è un vero sciroppo fisso e profumato. Per farlo essicare, scegliere le varietà precoci. L'essicamento al forno, lo rende meno bello e meno saporito. Il fico frutto, contiene il 65 per cento d' acqua. Nell'Africa e nel Levante vi sono piante che danno fino a 300 chilogrammi di fichi. In China è chiamato cheudze; fresco, à il colore dell'arancio; secco, prende la forma rotonda e s'infila, come da noi il rosario; si conserva dolcissimo e prezioso per i viaggi. I rami teneri del fico e le sue foglie staccate dalla pianta, come pure il gambo del frutto immaturo, al luogo della rottura tramandano un sugo bianco, lattiginoso, che è alquanto corrosivo, e serve a cagliare il latte, e come rimedio volgare a guarire i porri della pelle. Il legno del fico è assai leggero e s'adopera per certe particolari industrie. Le foglie rigide e di un verde carico, sono adatte a pulire i vetri ed i cristalli. La decozione di dette foglie, ridona il colore alle stoffe di lana, scolorate per arature. Il Sicomoro, sul quale è salito il piccolo Zaccheo per vedere Gesù, è la varietà fico moro, o fico d'Egitto e di Faraone. È altissimo, cresce a Rodi, nella Siria ed in Egitto, dove è indigeno. Dà frutti dolciastri, tre o quattro volte l'anno. Il Fico si mangia fresco ed essicato ed è sempre cibo nutriente, sano e pettorale. Sono celebri quelli di Calabria, Sicilia e Smirne. Si usa mangiarlo col prosciutto, col salame. Se ne fa ghiotta frittura, imboraggiandoli sbucciati, con ova e pane. Se ne fa perfino salame. La buccia è indigesta, onde il proverbio: All'amico pela il fico e la persica al nemico. Frate Ambrogio da Cremona asseriva che perchè il fico sia meritevole da portarsi in tavola, dev' essere perfetto, cioè deve avere il collo torto, l'abito stracciato e l'occhio lagrimoso. Per la colazione sceglieva quelli che la mattina per tempo trovava bucati dagli uccelli. Forse da lui quel proverbio: Il fico vuol avere collo da impiccato e camicia di furfante, che nel nostro dialetto suona cosi: El figh per vess bell, el dea vess lung de coll e rott de pell, perciò il Marino lo scrive col verso:
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, dal greco phyo, produrre, a cagione della sua fecondità, e nel linguaggio delle piante significa pure: Fecondità. I fichi primaticci sono chiamati
Il nome Fungo — dal greco Sphongos, spugna, a cagione della loro sostanza spugnosa, d'onde il Fongus dei latini — è dato a certe vegetazioni che si allontanano dalla comune, per natura, sostanza, forma, mancanza di foglie, di fiori. Clemente Rossi ne dà questa definizione (ve la do per debito di coscienza): II fungo è una pianta crittogama parassita, priva di consistenza erbacea. Nel linguaggio delle piante: Tradimento. Ve ne sono d'ogni grandezza, d' ogni forma: filamentosi, membranosi, schiumosi, tuberosi, a carne consistente, spugnosa, coriacea, sugherosa, compatta. Alcuni danno seme, altri no. Infinito il numero delle specie: se ne conoscono più di 3000 varietà, ve ne sono in famiglia, a gruppi, solitari. Aderiscono al suolo o sul corpo sul quale vengono, per mezzo di fibrille, che non sono radici. Esalano un odore particolare ed umido, che è comune a tutti, con alcune gradazioni fra le diverse specie. Il sapore non è meno variabile, ordinariamente è sapido, acre, bruciante, stittico, acido, nauseante, aromatico, a seconda del sugo del quale sono imbevuti. Amano luoghi boschivi umidi e grassi, vengono sulle sostanze vegetali ed animali in decomposizione. L'umidità calda ne genera lo sviluppo e la moltiplicazione, principalmente in autunno e primavera. Vogliono i climi delle zone temperate. Le stesse specie di funghi non compariscono indifferentemente in tutte le stagioni. L'Asia boreale, la Cina, l'America settentrionale abbondano di funghi. Ànno sviluppo rapido, istantaneo, compariscono da prima come piccoli filamenti o fibre, che poi si tumefanno e s'ingrossano e crescono tosto a vista d'occhio a formare il fungo perfetto. Questo primo stato si chiama carette o bianco di fungo. Una sola notte vede apparire migliaia di funghi, alcune ore, alcuni minuti bastano a diverse specie per pervenire al loro ultimo sviluppo. L'assenza della luce e un'atmosfera tranquilla accelerano singolarmente la loro moltiplicazione. Pervenuti alla maturità, emettono de' piccoli corpuscoli tondi, chiamati seminoli, è l'ultimo loro prodotto, come i semi nei vegetali. Sono finissimi, quasi polvere e situati sia nell'intera superficie, sia nella superficie superiore, sia internamente e vengono alle luce per laceramento o morte del fungo. La pioggia li fa deperire facilmente. Sono preda degli insetti e di alcuni animali erbivori, e i più avanzati in età, sono preferiti dagli insetti. È ammesso dai chimici che sono potentissimi agenti di ossidazione e d'azotazione. I commestibili contengono, secondo la varietà, da 84 a 94 parti d' acqua, il resto è un composto di sali e sostanze organiche, vale a dire olii essenziali, materie resinose, grasse, coloranti, zuccherine, acidi organici diversi, materie gelatinose, gommose, raramente fecula-cellulosa, di composti azotati, albumine, ecc.
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coscienza): II fungo è una pianta crittogama parassita, priva di consistenza erbacea. Nel linguaggio delle piante: Tradimento. Ve ne sono d'ogni
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in giugno, frutti o bacche rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda di giuggiole.
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calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha, dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine. Dà fiori bianchi, numerosi, odorosi disposti in mazzetti in aprile, e coccole ranciate in luglio. Le sue spine nel linguaggio delle piante significano: Proibizione, ed i fiorellini: Dolci speranze. Il legno del lazzeruolo, è forte, tenacissimo — viene usato nei lavori di tornio ed anche di scoltura, giacchè si leviga benissimo e tiene con costanza le tinte.
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e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze
Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Nel linguaggio delle piante: Sapienza. Il valore germinativo giunge ai 4 anni. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti, specialmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa puree e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primogenitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo dà il menu d' una cena; con queste parole: mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. Allora si servivano le lenti come oggi si fa della patata in Svizzera. Difìlo comico, fa dire ad un suo personaggio: la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. Zenone, il fondatore della setta stoica, dice: essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condire bene le lenti. Ecco il suo dogma:
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Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Nel linguaggio delle piante: Sapienza. Il valore germinativo giunge ai
Fusto arboreo sempre verde, dei climi caldi, acclimatizzato da noi, spesso munito di spine, che à fiori d'un bianco roseo quasi continuamente, frutto bislungo, paglierino di colore, polpa abbondante e ricca di sugo acido aromatico aggradevole. Si moltiplica per semi, talee, margotte. Ama terreno argilloso-calcareo-siliceo, clima dolce. Soffre il freddo e il troppo caldo rende il suo frutto stopposo. Cresce sollecitamente. A 20 anni in Sicilia produce circa 1000 limoni; vive dai 60 ai 70 anni. Si coltiva come gli aranci. Se ne contano 16 varietà. In China avvi la varietà cheilocarpa, il cui frutto rappresenta una mano, che i Chinesi dicono quella del loro Dio, lo chiamano: Fo-chu-kan, cioè mano odorante. Nel linguaggio delle piante: Sono sempre presente. Il limone vuolsi originario dalla Persia. Si narra che un re di quel paese ne facesse dono agli Ateniesi, d'onde si sparse poi in Europa. Plinio parla d'un frutto detto Pomo di Media che i greci chiamavano Kitrion. Si vorrebbe che ai tempi di Plinio il limone non fosse ancor portato in Italia, scrivendo egli stesso: Sed nisi apud Medos et in Perside nasci noluit. Abbiamo però Virgilio che ne celebrò le lodi nella 2.a Georgica:
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frutto rappresenta una mano, che i Chinesi dicono quella del loro Dio, lo chiamano: Fo-chu-kan, cioè mano odorante. Nel linguaggio delle piante: Sono
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e muore nelle forti. — Si propaga per seme ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata o semata di mandorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essiccare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essiccati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili. Una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli che fanno venir voglia di bere:
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linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui
Il melagrano è un alberetto originario dall'Africa, a foglia caduca, indigeno in Italia. Viene in piena terra, ma meglio addossato ai muri, ama esposizione soleggiata, calda, difesa dai venti. Teme l'umidità ed il gelo. Si propaga per seme, margotte, talloni. Se ne annoverano dal sapore dei frutti tre varietà, dolce, acido, ed agro dolce. Si coltiva molto in Spagna, dove i frutti vengono grossissimi ed aromatici. Fiorisce in giugno e luglio, si raccolgono i frutti immaturi alla fine di settembre perchè, aspettando più tardi, la corteccia si apre per eccessiva umidità. Il vocabolo punica è da punicus, rosso scarlatto, il colore de' suoi fiori — e granatum dalla quantità dei grani. Onde da noi è detto melagranata, e à dato pure il nome al rosso violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno, cogliendolo in giornata serena, ed esponendolo al sole per due giorni. Poi si colloca, involto con carta, in qualche recipiente i cui vani si riempiono con sabbia ben asciutta e se ne tura l'orifizio con bon coperchio. Così conservato acquista anche maggior grado di maturanza. Questo frutto sferoideo, bellicato, è rivestito di scorza coriacea prima verde, poi rosso scuro, che raccoglie in segmenti divisionali semi numerosi, involti in una polpa rosea, pelucida, succosa, gradevole, pochissimo nutriente, ma rinfrescante e salubre.
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rosso violetto che si chiama pure granato. Nel linguaggio delle piante significa: Fatuità. Il pomo granato si conserva fresco e sano sino a metà inverno
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
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e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si
Il nèspolo è pianta indigena europea, a foglia caduca. Cresce spontaneo allo stato selvatico nei boschi anche dei climi freddi, ama però quello temperato, esposizione poco soleggiata. In qualunque terreno si propaga per innesto sul lazzeruolo, spino bianco, castagno e pero. Nel linguaggio delle piante: Selvatichezza. Il frutto è malinconico, aspro, acidulo, color
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piante: Selvatichezza. Il frutto è malinconico, aspro, acidulo, color
à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma indigesto, disturba la digestione, e in quantità ingombra i visceri. È ghiottoneria dei ragazzi, bisogna masticarla bene, e secca è meno digeribile. Dice un proverbio: Chi mangia nocciole, il capo gli duole. I confetturieri la coprono di zuccaro, l'abbrustoliscono. L'olio che se ne estrae è dei migliori ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il legno pieghevole del nocciolo somministra ai bottai ottimi cerchi per tinozze e barili, ai canestrai verghette flessibili per mille industriosi ripieghi, abbruciato, dà un foco dolce, carbone per disegno ed eccellente per fabbricare polvere pirica. In S. Pietro di Roma, i penitenzieri, nelle grandi circostanze di feste, giubilei, indulgenze, ecc., danno l'assoluzione ai penitenti inginocchiati davanti al confessionale, toccando loro le spalle con bacchette di nocciolo. La bacchetta di nocciolo era indispensabile nelle arti divinatorie, era la bacchetta dei maghi, come dopo, fu quella dei maestri della dottrina cristiana nelle chiese, degli elementari nelle scuole e dei professori di Seminario, tanto che la niscioeula è pei milanesi sinonimo di bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus, onde: mollaj gió secch come i niscioeur. E che
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à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza
La Myristica moscata è pianta ramosa, sempre verde, che si eleva fino a 15 metri, rassomigliante l'alloro, originaria delle Molucche, ora coltivata nell'Isola di Banda, a Cajenna, alle Antille, Brasile e Perù. Nel 1864 Banda ne possedeva 266.000 piante. Si propaga per semi ed alcune specie di colombe, segnatamente la carpaphora concinna, ànno una parte attiva nella sua disseminazione trangugiando il frutto, ed evacuando il seme che conserva e forse è favorito nella sua facoltà germinativa, dal passaggio per i loro intestini. À fiori piccoli, biancastri, che lasciano il posto a drupe, o frutti carnosi, grosse quanto un'albicocca, che si aprono in due valve, e lasciano vedere un seme ovoidale nerastro, duro, che è la sua vera noce. Essa è circondata da una pellicola o arilla di color rosso arancio, e frangiata quando è recente, ma che diventa gialla colla essicazione, ed è ciò che noi denominiamo macis. Nel linguaggio delle piante: Potenza. La raccolta di queste noci si fa in aprile, luglio e novembre, le qualità migliori sono colte a mano quando sono mature. Sul mercato inglese si valutano le noci moscate dalla loro grossezza, quelle che ànno circa due centimetri e mezzo di lunghezza, sopra due di larghezza, e dalle quali bastano soltanto quattro a formare un'oncia, sono tenute in alto pregio. Il macis lo si separa dal seme, lo si fa essiccare al sole, dopo averlo immerso nell'acqua salata, ciò che gli conserva morbidezza ed impedisce la volatilizzazione del principio aromatico. Le noci, spogliate del loro arillode, vengono rapidamente essiccate in camere affumicate, sino a che lasciano il loro sottile inviluppo. Così essiccate vengono in commercio, subendo però prima ancora un bagno di latte di calce, ciò che in China si omette. Le migliori noci moscate, sono quelle rotonde, pesanti, fresche, odorose, tramandano un sugo oleoso, aromatico, grasso. La noce moscata ed anche il macis contengono olio volatile, nel quale risiede tutta la loro energia, un'olio fisso, una sostanza buttirrosa volatile, ed un principio estrattivo solubile nell'alcool molto odoroso ed attivo. Questa sostanza buttirrosa che forma circa il quarto del suo peso, è conosciuta sotto il nome di burro noce moscata. Viene falsificata con miscela di cera gialla, sego e polvere di curcuma. La noce moscata, viene essa pure falsificata con quella tarlata dagli insetti, quella vecchia, ammuffita, esaurita colla distillazione e con quella fabbricata di tutto punto con pasta di farina, polvere e burro noce moscata, ma nell'acqua si stempera completamente. Jobard di Bruxelles riferisce, che, or sono una ventina d' anni circa, è arrivato da Canton un bastimento inglese, carico di... noci moscate di legno bianco, perfettamente modellate ed imitate. La noce moscata è fra gli aromi uno dei più potenti ad eccitare l'inerzia del ventricolo, a dar vita al cuore. Regala di graditissimo sapore molti manicaretti, sì di carne, che di verdure; e d'ova. Entra grattugiata non solo in cucina e nella pasticceria, ma nella distilleria, fa parte di vari elisiri, tinture, rosolj, ecc. Il macis è uno dei componenti l'aceto dei tre ladri. I medici assegnano alla noce moscata virtù toniche ed eccitanti. Se ne adopera l'olio in frizioni delle parti paralizzate. Averroè, vuole che, la noce moscata non fosse conosciuta dai Greci e dai Romani. Avicenna, antico medico arabo (n. 980+1037), la conosceva e dice che gli Arabi la chiamavano Jausiband, cioè noce bandese, e doveva essere nota anche agli antichi Egizi, perchè ne abbiamo trovati alcuni frammenti nelle loro mammie e si crede fosse ingrediente dei loro balsami a conservare i cadaveri. Serapione, nel libro II dei Semplici, la descrive appoggiato all'autorità dei Greci. Galeno la chiama crisobalano. Anche Emolao Barbaro, in Dioscoridem, è dell'opinioneche i Greci la conoscessero. Gli Olandesi, nel secolo scorso, si misero in testa di farne un loro monopolio e a tale intento ne distrussero quasi la specie nello Isole Molucche. Ma nel 1770 Poivre, governatore di Bourbon, riuscì a rapir loro, con quelli dei chiodi di garofano, alcuni alberi di noce moscata e li piantò a Maurizio e a Bourbon.
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nell'Isola di Banda, a Cajenna, alle Antille, Brasile e Perù. Nel 1864 Banda ne possedeva 266.000 piante. Si propaga per semi ed alcune specie di
La Pastinacca, dal latino pastus, nutrimento, per le sue qualità alimentari, è una radice che somiglia alla carota, carnosa, bianchiccia, aromatica, biennale. I semi producono solo 2 anni. Si semina in marzo, aprile, maggio, in terreno sostanzioso e lavorato profondamente. Ama essere innaffiata d' estate. Si conserva benissimo anche in terra, non teme il gelo. Fiorisce nel luglio ed agosto del secondo anno che è stata seminata. Cresce naturalmente nei prati, nei pascoli e tappeti erbosi. Si coltiva negli orti ad alimento. Nel linguaggio delle piante: Sei pazzo. In Italia è poco coltivata. La radice grossa della pastinacca coltivata è saporitissima, si usa cotta in minestra, accomodata col burro ed in insalata. Oltre le radici che sono molto nutritive, si mangiano pure le foglie che sono assai bone ed aromatiche. Mèrat dice:
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naturalmente nei prati, nei pascoli e tappeti erbosi. Si coltiva negli orti ad alimento. Nel linguaggio delle piante: Sei pazzo. In Italia è poco coltivata. La
Il pepe, quale lo conosciamo, è il frutto secco, immaturo del piper nigrum, pianta vivace che cresce spontaneamente sulle coste del Malabar, Indostan, Malaca, Ceylan. Nella state à fiori senza calice in grappoli lunghi, bianchi, frutti a foggia di bacche, da principio verdi, poi rossi, e finalmente gialli. Raccolgonsi prima che siano completamente maturi, e vengono essiccati al sole o al foco, ciò che imparte alla superficie della bacca le rugosità ed il colore bruno-nero. Maturi, perdono il loro sapore bruciante. Da noi, il pepe è pianta da serra ed anche potendo allignare nelle nostre parti meridionali, darebbe frutti di nessuna forza. Il suo nome, dal greco pepto, digerire, cocere, che à virtù stomatica, riscaldante. Nel linguaggio delle piante: Rabbia. Fu per molto tempo ritenuto che il pepe bianco fosse una varietà del nero. Ma il pepe bianco non è altro che il pepe nero lasciato maturare, poi fatto macerare per due settimane nell'acqua di mare e di calce, e spogliato, mercè questa macerazione, delle parti esterne del pericarpio, dopo di averlo fatto essiccare, cosi che il suo sapore è meno piccante e meno aromatico, e la sua azione meno attiva. Il migliore pepe bianco è quello di Tellicherry, sulla costa del Malabar, ed il migliore pepe nero deve avere grani sferici, regolari, oscuri, non galeggianti sull'acqua.
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delle piante: Rabbia. Fu per molto tempo ritenuto che il pepe bianco fosse una varietà del nero. Ma il pepe bianco non è altro che il pepe nero lasciato
Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti, che lo colorano in nero per darci il falso ebano; dà un fuoco forte. La Scuola salernitana dice del pero:
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Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia
La duracina e le sue varietà, cotta nel vino e zuccaro, sono alimento eccellente per gli stomachi delicati e, sciroppata, il toccasana pel catarro stomacale. La pesca è matura quando dal lato dell'ombra od a tramontana mostra la pelle gialla: in tal momento tramanda la sua fragranza e profumo particolare. Non fatene la prova col tatto, perchè la minima contusione forma una macchia, che in breve tempo la guasta e fa marcire, L'Erera, botanico spagnuolo, dice che se si adacqueranno i persici con latte di capra per tre sere continue quando sono in fiore, vi nasceranno pesche grossissime. In China il pesco è l'albero a frutta più importante e che per la sua fioritura iemale, ne à fatto il simbolo dell'amore e della fedeltà. La pesca colà si crede procuri l'immortalità al felice che ne mangi. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo raccolto deve farsi a mano. Quelle destinate al commercio si devono cogliere qualche giorno prima della sua completa maturanza, onde siano più resistenti. La pesca è frutto giocondo, che ricorda le guancie paffute e rosee dei bimbi e delle bimbe, è la rosa dei frutti.
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crede procuri l'immortalità al felice che ne mangi. Nel linguaggio delle piante presso noi significa: Contento, vita beata, non cercar troppo. Il suo
Il pignòlo, o pinocchio, è il frutto del pinus pinea, detto volgarmente pino domestico, pino d'Italia. Albero dell'Europa meridionale, che erge la sua cima fino a 30 metri, a forma di ombrello. Porta foglie numerose lunghe da 10 a 15 centimetri, di un bel verde. Fiorisce in maggio e produce coni grossi, durissimi, contenenti màndorle triangolari lunghe due centimetri. Nel linguaggio delle piante: Tenacità. Quei coni si rompono, o si mettono al fuoco e allora s'aprono e lasciano la màndorla, aromatica e di grato sapore. Tale màndorla è molto in uso fra noi, serve ai cuochi per salse, ripieni, condimento a certe vivande e verdure, ai pasticcieri per torte, paste, ecc. In Italia l'abbiamo dalla pineta di Ravenna. Il pino era consacrato a Cibele, la quale cangiò Atys in pino. Dai Greci i pinocchi erano chiamati Pityides. Se ne facevano un unguento per togliere le rughe della faccia a quelle signore che se le lasciavano venire. Sono nutrienti, stimolanti, indigesti. È pasto graditissimo dei canarini, che li fa cantare. Molti devono ricordarsi dei maestri che facevano fare i pignoeu, cioè unire insieme la punta delle cinque dita per batterle colla bacchetta; e pensare che si stava là mogi ad aspettare quel regalo!
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grossi, durissimi, contenenti màndorle triangolari lunghe due centimetri. Nel linguaggio delle piante: Tenacità. Quei coni si rompono, o si mettono al
È un grande albero a foglia caduca, originario delle Indie Orientali, della Persia, dell'Arabia e della Siria. Fra Damasco ed Aleppo ve ne ànno selve intere. Da noi è fatto indigeno in Toscana, nel Genovesato e nella Sicilia. Nelle provincie meridionali della Francia vegeta pure con prosperità. Non resiste d'inverno in piena terra nei paesi settentrionali. Vuol terreno sostanzioso, leggero e parche irrigazioni. Si moltiplica per semi, che si fanno nascere sotto cuccia, porta in primavera fiori piccoli, giallognoli, a cui succedono frutti ovali lunghi, secchi, con polpa sottilissima, e grossi quanto una oliva, contenenti un nocciolo che apresi in due valve, entro le quali trovasi una màndorla verde coperta d'una pellicola rossastra, d'un sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da mettersi insieme al pignolo. Contiene molto olio, che è facile estrarre con semplice pressione. Serve a preparare alcune emulsioni, affatto simili a quelle delle màndorle dolci, prescritte nelle infiammazioni degli intestini e delle vie orinarie. I confetturieri ne fanno grande uso in paste e confetti. I salumai ne regalano le galantine e certi salami a cuocersi. I cuochi lo mettono nei polpettoni e nei croquants, che i fiorentini chiamano pistacchiata. Se ne fa pure una eccellente conserva. Gii Arabi lo chiamano pustach, e gli Olandesi pistassies. Vuoisi che chi lo portò in Italia fosse il console romano Lucio Vitellio, sotto Tiberio, di intorno dalla Siria, come Fiacco Pompeo, suo commilitone, lo portò pel primo, in Spagna.
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sapor dolce, soave, grato, pingue. Nel linguaggio dei fiori e piante: Accoglienza benevola. Questo frutto è mangereccio e per i pregi ed i difetti è da
piante: Golosità. Nel Cantone di Berna i pomi vengono chiamati: Mailändern. Gli antichi sapienti sudarono alla ricerca di colui che primo trovò il pomo e
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piante: Golosità. Nel Cantone di Berna i pomi vengono chiamati: Mailändern. Gli antichi sapienti sudarono alla ricerca di colui che primo trovò il
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
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linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in
Radice erbacea indigena. Si semina in febbraio e marzo, si trapianta in luglio e agosto. È biennale e i semi germinano per 3 anni. Ama terreno grasso e lavorato, bona esposizione e molta acqua, non teme il freddo. È della famiglia dell'aglio e delle cipolle, delle quali divide la patria e la maniera di coltivazione. Nel linguaggio delle piante: Villania. La parte edule è la bianca. Il porro serve per condimento alle minestre, si fa accomodato con burro e formaggio, è bonissimo piatto di verdura. Erano celebri quelli di Ariccia, dei quali Marziale, lib. 13:
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maniera di coltivazione. Nel linguaggio delle piante: Villania. La parte edule è la bianca. Il porro serve per condimento alle minestre, si fa accomodato
Il suo nome dal greco Selidon, o, secondo altri, da Petrosselene, pietra di luna, avendo i semi la forma d'una luna nascente. Nel linguaggio delle piante significa: Banchetto, convito. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non teme nè il caldo nè il freddo, non è niente delicato riguardo al terreno, amando però meglio quello leggero, ricco ed umido. Si semina a primavera e se ne à tutto l'anno. Avvi la varietà riccia, o prezzemolo crespo, le cui foglie sono frastagliate; la varietà grossa, o prezzemolo sedanino di Napoli, le cui radici voluminose sono bone a mangiarsi fritte ed accomodate. L'antico petroselinon è quello detto di Macedonia che alligna fra le pietre e fra le roccie (da cui il nome, quasi apium petrinum) à foglie più ampie ed è più dolce. La semente invece è più aromatica e d'un sapore che si avvicina a quello del cumino. Il prezzemolo è bisannuale, e i suoi semi producono fino ai 3 anni. Ama i terreni sabbiosi e teme il freddo. Avvi quello di palude e quelle di montagna selvatico. Il prezzemolo comune somiglia molto alla cicuta che nasce spontanea negli orti, si riconosce però
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piante significa: Banchetto, convito. Vuolsi originario della Sardegna, dove cresce naturalmente, ma oggi è comune a tutti i paesi. Il prezzemolo non
sostanziosa, compatta, fresca, ombrosa. Si propaga per le sue radici. È chiamato anche Barbaforte, dai Francesi Moutarde des capucins, senape dai Tedeschi e Rafano di cavallo dagli Inglesi. Nel linguaggio delle piante: Sdegno. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani. Grattugiata minutamente ed immersa nell'aceto è ottimo condimento per l'alesso, da sola può servire come la senape a condire certi manicaretti e a conciar l'insalata. I frati, molto intelligenti di gastronomia e di salse, posero il cren sotto la protezione celeste e la chiamarono Salsa di S. Bernardo. In Francia se ne prepara vino, birra ed una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i Greci lo chiamavano Pontici armon e gli Spartani Leucen. Era celebre il cren d'Arcadia. Il rafano selvatico è eminentemente anti-scorbutico, diuretico, antireumatico. Applicato esternamente è succedaneo ai vescicanti. Raschiato, supplisce la senape nei pediluvi e nei senapismi. Disseccato non perde la sua virtù. Non ultima qualità del rafano è questa, che raccomandasi specialmente alle signore e alle signorine: infusa la sua radice nel latte fa sparire le macchie dal volto. Il rafano è da mangiarsi a vegetazione completa e meglio nell'autunno e nell'inverno; in primavera, oltre all'essere meno bono, è molte volte nocivo.
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Tedeschi e Rafano di cavallo dagli Inglesi. Nel linguaggio delle piante: Sdegno. La radice del cren è piccante assai ed acre, è gradevole ai sani
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
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delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
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rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi
Il rapunzolo o rapenzolo, è una radice erbacea bisannuale della grossezza del mignolo, perenne, indigena, bianca, fragile, carnosa e tenera. Dà fiori, da maggio a settembre, di un turchino pallido in pannocchie terminali: à seme minutissimo. Il suo nome dalla sua somiglianza colle rape. Nel linguaggio delle piante: Delizia campestre. I semi germinano per 5 anni. Si propaga meglio dividendo gli stelloni o la sua radice. Vuole terra leggera e alquanto sabbiosa, esposizione fresca e ombrosa. Cresce naturalmente intorno alle roccie, ai vecchi muri e nei prati di campagna. Codesta radice è mangereccia, saporita e di bon gusto, ad alcuni riesce un po' indigesta. E fiori e radici forniscono una delle più delicate insalate. Si usa molto in Toscana e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta e anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da gennaio a febbraio e si continua fino a che le piantine non emettano il fusto seminale. Coltivata diviene più grossa. A virtù alquanto tonica. Plinio la chiama Rapa sylvestre. I Francesi: Petite raiponce de Carème. Un giornale francese raccontava che Bèranger era ghiotto di questa radice e ch'era la delizia delle sue dinettes primaverili.
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linguaggio delle piante: Delizia campestre. I semi germinano per 5 anni. Si propaga meglio dividendo gli stelloni o la sua radice. Vuole terra leggera e
Il ribes è un arboscello europeo a foglia caduca, originario dell'Arabia. Il suo nome da ribiz, parola araba, che significa cosa acidula. Nel linguaggio delle piante: Stizza. Vuole clima temperato, nei paesi caldi il frutto à poco sugo, nei freddi è troppo acido. Ama terreno sciolto e fresco. Si moltiplica per semi, margotte e talee. Si educa a spalliera ed a siepe. À fiori odorosi in aprile e matura più o men tardi a seconda delle varietà. Di queste se ne conoscono 31, ma le principali sono: il ribes ordinario (ribes rubrum), con frutto a grappolo rosso e bianco più o men grosso. L'uva spina o d'Inghilterra (ribes uva spina, ribes grossularia). Mil.: Uva spina. Franc.: Gadelier. Ted.: Stachelbeere. Ingl.: Roug Goosberry che cresce a grappolo ed a frutti più grossi e carnosi e meno acidi. Finalmente il ribes nero (ribes nigrum) di sapore più aromatico, odorifero in tutti i suoi organi, a foglia variegata. La più coltivata, è la prima specie, il cui frutto vien conservato allo stato fresco e serve a far sciroppi e bevande spiritose. Se ne estrae anche acido citrico. La seconda specie, che conta pure le sue varietà, è coltivata con arte raffinata dagli Inglesi, che ne preparano il loro rinomato vino d'uva spina. Del ribes nero, gli Svizzeri ne fanno pure una bevanda spiritosa, una specie di ratafià detto Cassis. Nel linguaggio dei fiori: Tu fai la mia delizia. I frutti del ribes rosso si mangiano crudi, si conservano in aquavite, si candiscono, se ne fanno giulebbi, e serve pure a far salsa, aque, sciroppi e sorbetti. Serapione ne parla, ed è lui che ne indica l'origine africana. Le donne e le ragazze amano molto questo frutto che dà l'aspretto del limone. L'uva spina era detta da noi anche uva crispina e marina e la si metteva nelle minestre, guazzetti ed intingoli ai quali comunicava un certo bruschetto grazioso, dice il Pisanelli. In medicina è considerato un rinfrescante ed un astringente.
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linguaggio delle piante: Stizza. Vuole clima temperato, nei paesi caldi il frutto à poco sugo, nei freddi è troppo acido. Ama terreno sciolto e fresco. Si
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena, à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Il seme dura per 8 anni. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffiamenti. Si imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Nel linguaggio delle piante: Spiritosità. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire com'esso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc.; entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe, sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fa un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania:
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imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Nel linguaggio delle piante: Spiritosità. Diverse
Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal luglio a tutto ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essiccate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essiccata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie,, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzate e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione, quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare, come ingrediente principale, l'elettuario lenitivo, giova agli stitici, onde quel proverbio: mangiando di molte susine, saran di quaresima molt' erba. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve egli intarsiatori. La Scuola Salernitana, dice:
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linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e
I Greci in Italia, i Francesi nelle Gallie, ecc. Ma il trovarla anche fra noi spontanea ed incolta nei boschi, fa perdere la fede a quel blasone di esotica nobiltà. Il nome vite, vuolsi da parola celtica che significa albero, ma meglio lo si deriva dal latino vis, forza. Nel linguaggio delle piante significa: Ubbriachezza. Uva viene da uvidus, pieno, pingue. L'uva, dice il Mantegazza, è frutto allegro, dolce, bello, galantuomo, rinfresca e nutrisce; l'uva è il più utile e proficuo dei frutti. «Più della poma delicata è l'uva», cantò Fracastoro. Oltre il principale uso che si fa dell'uva — il vino — essa si mangia allo stato fresco, allegra la tavola, serve al cuoco nella cucina, al pasticciere per la credenza e la dispensa. I fiori ànno una fragranza gratissima, che ricorda quella dell'amorino, servono ad aromatizzare vini e liquori. Prima delle sua maturità si chiama agresto e giova nelle idropisie adipose. II succo dell'uva acerba, detto dai latini omphacium, e da noi agresto, esprime già col nome il suo sapore stittico. In sostituzione di agrumi e di aceto, lo si adopera a far salse, bevande rinfrescanti e sciroppi in farmacia. Dai semi se ne cava un olio grasso di colore giallo-verdognolo, di sapore spiacevole, che arde con fiamma brillante, senza molto fumo. Un ettolitro di semi può dare in media 8 chilogrammi di olio. Si fa pure un rob o sciroppo d'uva, che i Romani chiamavano sapa, che si ottiene riducendo il mosto a due terzi, od a metà, mediante lenta ebollizione ed evaporazione. Distillando il vino e le vinaccie si ottiene, prima impuro, poi con altre ripetute distillazioni, rettificato e purissimo, l'alcool. Il primo risultato dà l'aquavite, il secondo lo spirito di vino. L'uva matura è il più salubre dei frutti e se ne può mangiare e rimangiare senza pericolo, producendo tutt' al più un po' di mossa di corpo. I medici consigliano la cura dell'uva, e questa cura la chiamano ampeloterapia (dal greco ampelos, vite, e therapeyo, servire), che consiste nell'uso dietetico, sistematico dell'uva come alimento principale (
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esotica nobiltà. Il nome vite, vuolsi da parola celtica che significa albero, ma meglio lo si deriva dal latino vis, forza. Nel linguaggio delle piante
Valerianella, o anche Valeriana, Cicerbita, Sonco, Grispignolo, è pianticella erbacea, annuale, indigena, che cresce fra le biade delle vigne. À, piccolissima radice, le sue foglie anno sapore gustoso, dolcigno. Nel linguaggio delle piante: Sei benvenuto. È migliore il seme d'un anno. La valerianella si coltiva anche negli orti, vuol terreno grasso, lavorato, a bona esposizione. Si semina in settembre per averne nell'inverno e nella primavera, in agosto per l'autunno. Le sue foglie danno un eccellente genere d'insalata e bona verdura per condire le minestre. La valerianella è sommamente amata dagli agnelli e dalle lepri, ed è per questo che in alcuni siti è chiamata allattalepri.
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, piccolissima radice, le sue foglie anno sapore gustoso, dolcigno. Nel linguaggio delle piante: Sei benvenuto. È migliore il seme d'un anno. La
La vaniglia o vainiglia, è il frutto di parecchie specie del genere vanilla; piante erbacee ed arrampicanti, originarie delle regioni calde dell'America e segnatamente del Messico e dell'Asia. La sua fecondazione vuolsi la si deva a degli insetti. À fiori bianchi screziati di rosso-giallo. Se ne conoscono quattro varietà: la planifolia, di cui la migliore cresce nelle regioni calde ed umide del Messico, della Colombia e della Guajana, coltivasi nelle Antille. La gujanensis di Surinam. La palmarum di Bahia fornisce qualità inferiori. La pompona, il vaniglione di odor forte, ma non balsamico, che ricorda quello dei fiori della vaniglia dei giardini (Heliotropium peruvianum), viene dalle Antille, à siliqua grossa e corta, è la più scadente. Queste piante, grosse come un dito, s'avvolgono al tronco degli alberi come la vitalba, il convolvolo e l'edera, e s'innalzano a grandi altezze. Il frutto della vaniglia, chiamato guscio, è una capsula carnosa, lunga 14-15 centimetri in forma di siliqua. La sua superficie dapprima verde poi colorata in bruno-rossastro molto intenso, è dotata di una lucentezza grassa. Contiene una quantità di semi estremamente piccoli, globulari, lisci, duri, neri e contenenti un succo denso e bruniccio, che, maturi, danno una fragranza squisitissima. La miglior vaniglia è quella del Messico, le cui capsule anno qualche volta la lunghezza di 22 centimetri . Epidendrum, dal greco Epi, sopra, e dondron, albero, cioè che corre sopra l'albero. Il nome di vaniglia dallo spagnolo vajnilla, piccola guaina. Nel linguaggio delle piante: Soavità. La vaniglia è uno degli aromi meno irritanti e dei più delicati ed importanti della cucina ghiotta — dà sapore alle carni, a tutti gli intingoli nei quali è introdotta — e serve principalmente per le cose di latte col quale si marita benissimo, per dare aroma al cacao e farne cioccolatta — per sorbetti, liquori, paste. Dà profumo pure ai saponi, entra in molte aque odorifere, per es. l'aqua di Cipro. In Europa si coltiva, da tempo, la varietà planifolia, nelle serre di Liegi, nel Giardino delle Piante a Parigi, e di Hillfield, House-rigate, dopo che Morren, nel 1857, à mostrato che si poteva fecondare artificialmente. Da quest'epoca la fecondazione e la produzione delle capsule si ottengono in tutti i paesi tropicali, e i frutti della vaniglia europea non la cedono nel profumo a quelli del Messico. La vaniglia fu introdotta in Europa dagli Spagnuoli dopo la scoperta dell'America. Gli Indiani chiamano arris arack, il liquore d'anice aromatizzato colla vaniglia. Per conservare la vaniglia la si chiude in una bottiglia di vetro o in un cannoncino di latta, cosparsa di zuccaro. In tal modo si ottiene lo zuccaro vanigliato che serve comunemente in cucina ed in pasticceria. Si falsifica la vaniglia con le vaniglie alterate, o raccolte troppo tardi, o esaurite coli' alcool e restaurate col balsamo peruviano o del Tolù — colla mescolanza di qualità inferiori, quali il vaniglione. Un guscio sano e bono di vaniglia, deve offrire intatta l'estremità ad uncino. La vaniglia in polvere è più soggetta ancora a falsificazione.
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La vaniglia o vainiglia, è il frutto di parecchie specie del genere vanilla; piante erbacee ed arrampicanti, originarie delle regioni calde dell